CHIAMATA ALLA VITA CONTEMPLATIVA

Chiamata alla Vita contemplativa

del Reverendo Padre Priore

Cari fedeli,

ringrazio di tutto cuore i sacerdoti che mi hanno invitato questa mattina per parlarvi della vita contemplativa, la quale non è una prerogativa esclusiva del monaco: ad essa è chiamato ogni cristiano che, seguendo Nostro Signore Gesù-Cristo, desideri penetrare sempre più nel mistero della conoscenza e dell’amore di Dio.

Ma prima vorrei presentarvi la nostra comunità dei Benedettini dell’Immacolata. È stata fondata in Italia da Mons. Mario Oliveri nella diocesi di Albenga-Imperia il 2 luglio 2008, festa della Visitazione.

Gli inizi sono stati umili e poveri, nel presbiterio di Villatalla, piccolo borgo di montagna affacciato su un panorama di grande bellezza e il cui orizzonte, tracciato dalla linea azzurra del Mediterraneo, sembra fuggire verso l’infinito. Villatalla si trova in questa regione che la Guida Michelin definisce «L’incantevole Liguria». Undici anni dopo, la nostra comunità si è trasferita molto vicino al confine francese, a Taggia, in un convento cappuccino del XVII secolo, con la sua chiesa, il suo chiostro, il suo refettorio a volta e le sue 14 celle. Come potete immaginare, questo convento di quattro secoli necessita di diversi restauri.

La nostra è una vita contemplativa secondo la Regola di San Benedetto e consacrata alla Vergine Maria nel mistero del suo cuore immacolato, «perché è il tipo compiuto dei due caratteri dell’Opera monastica richiesti da Nostro Signore ai nostri fondatori: vita interiore e immolazione».

Nella crisi che attraversa da decenni la Santa Chiesa, «Noi vogliamo», come prevedono le nostre Costituzioni, «mantenere indefettibile il doppio baluardo della Santa Regola e della Santa Liturgia, quali migliori garanti della più pura fede cattolica e della più alta santità».

Al termine della messa vi distribuiremo un volantino con informazioni sulle nostre due comunità e sui mezzi per aiutarci economicamente, se potete. Grazie dal profondo del mio cuore.

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In questo inizio di Quaresima, la Chiesa ci invita alla penitenza e alla preghiera. Ma questa mattina non vengo a parlarvi della penitenza, benché sia così necessaria alla nostra santificazione e alla nostra salvezza come disse Nostro Signore ai farisei: «Se non fate penitenza, perirete tutti».

La contemplazione. Cos’è la contemplazione?

Sant’Ireneo diceva che «La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la contemplazione di Dio». Contemplare Dio è dunque vivere veramente, vivere della vita stessa di Dio, contemplare Dio è dargli gloria; contemplare Dio è dunque l’eternità iniziata quaggiù, dove l’anima è in contatto con l’eterno presente di Dio.

Dio, infatti, ha creato ogni cosa, per Lui, per la Sua gloria, e la Creazione trova il suo fine in Lui solo.

Già l’Antico Testamento ci mostra Mosè come un grande contemplativo. L’Esodo racconta che egli salì sulla montagna e la gloria di Yahvé rimase sul monte Sinai che una nube coprì per sei giorni. Il settimo giorno, Dio chiamò Mosè dal mezzo della nube e la gloria del Signore fu come un fuoco divorante. Allora Mosè entrò nella nube. Salì sulla montagna dove rimase per 40 giorni e 40 notti: 40 giorni e 40 notti di contemplazione della gloria di Yahvé! La sua gloria era un fuoco divorante di luce e d’amore.

Dio però si è lasciato contemplare solo attraverso la nube, simbolo della Fede. Possiamo quindi già dire che la contemplazione è uno sguardo di fede posato su Dio, presente ma invisibile.

Consideriamo il Vangelo: nel racconto della Trasfigurazione, esso ci mostra come l’atto della contemplazione sia la vita stessa di Dio. Dio contempla se stesso contemplando il proprio figlio: «Hic est Filius meus dilectus in quo mihi COMPLACUI», «Questo è il Figlio mio diletto nel quale mi sono compiaciuto». E, reciprocamente, Dio contempla se stesso contemplando il Padre: «In verità, in verità vi dico, il Figlio non può fare nulla in se stesso che non veda fare dal Padre. Ciò che fa il Padre, lo fa anche il Figlio, perché il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che fa». Il Figlio quindi non può fare nulla da se stesso, nulla senza guardare il Padre. Non c’è nulla che il Figlio possa realizzare senza tenere fisso lo sguardo sul Padre. Guardate come il Figlio si compiace del Padre, come il Padre si compiace del Figlio!

Anche questa è contemplazione: uno sguardo di compiacenza sull’essere amato. Ma in Dio Padre, come nel suo Divin Figlio, questo sguardo di compiacenza non ha fine: io e mio Padre agiamo incessantemente. Nessuna contemplazione umana potrà raggiungere il grado sublime della contemplazione divina. Ma ciò non impedisce a Nostro Signore Gesù Cristo di chiamarci al suo seguito a condividere la sua filiale contemplazione, qui sulla terra alla luce della fede e in cielo in un eterno faccia a faccia.

Un contadino d’Ars che ogni giorno, prima e dopo il lavoro, trascorreva molto tempo davanti al Santissimo Sacramento, venne interrogato dal suo santo sacerdote: «Amico mio, che cosa puoi dire al Buon Dio?». «Niente», rispose il contadino, «io lo guardo e lui mi guarda». La contemplazione consiste anche nella semplicità dello sguardo. L’anima riunisce e unifica le sue facoltà per allenarle e tenderle verso Dio: l’attenzione pura è contemplazione. È l’azione più alta che l’uomo possa compiere qui sulla terra. L’anima allora non è più in se stessa, è tutta immersa in Dio. La contemplazione, dice un certosino, è «l’atto di un’anima che dimentica se stessa, immobile, davanti a qualcosa di più bello di sé». Ma richiede spesso il silenzio esteriore, sempre il silenzio interiore e una certa solitudine. «Ti condurrò nel deserto per parlare al tuo cuore», disse Dio al profeta Osea. Ecco perché il Curato d’Ars, apostolo instancabile tra tutti ma anche uno dei più grandi contemplativi del nostro tempo, poteva dire che la contemplazione è «un anticipo di Cielo, un fluire di Paradiso».

Possiamo quindi riassumere dicendo che la contemplazione è un sguardo semplice di compiacenza con il quale l’anima, dimentica di se stessa, si lascia deliziare dalla vista della Bellezza e dell’ineffabile Santità di Dio.

Miei cari fratelli, se è impossibile per le nostre povere persone vivere continuamente in contemplazione – perché, dice un proverbio cinese, l’uomo non può vivere sempre in punta di piedi – dobbiamo tuttavia cercare di guardare spesso verso Dio. Tutte le preoccupazioni del mondo non devono distoglierci dall’attenzione a questa presenza paterna di Dio che continuamente ci circonda e ci attira a sé. Dom Placide de Roton, abate benedettino, diceva che «ci sono diverse regioni nell’anima. Possiamo stare con Dio mentre facciamo qualcosa di completamente diverso, anche in un lavoro, in una conversazione. Lasciamo che la regione esteriore della nostra anima si occupi del nostro prossimo e, allo stesso tempo, rimaniamo nella regione interiore, dove è Dio; in questo modo, sarà Dio a parlare, sarà Dio ad occuparsi della questione, sarà Dio a fare tutto».

Vediamo ora i frutti che porta la contemplazione.

Quanto a noi:

  • Il primo di questi frutti è Dio stesso: Dio che si dona come Verità, Dio che si dona come Amore, Dio che si dona come Pienezza.
  • Il secondo frutto è l’avversione al peccato, ad ogni peccato. Una volta gustata la grazia di Dio, sentiamo non solo la vacuità dei beni di quaggiù, ma un certo disgusto per il peccato, che invece tanto piace alla carne.
  • Il terzo frutto è la diminuzione in noi del peso della concupiscenza. E non è da poco! Infatti, l’anima è più nell’oggetto del suo amore, che è Dio contemplato, che nel corpo, dove è sollecitata dalla concupiscenza. Le tentazioni non hanno più presa sull’anima perché arrivano dove l’anima è assente, dacché essa è tutta in Dio. La contemplazione è quindi un rimedio molto efficace contro la concupiscenza. Quanto più viviamo alla presenza di Dio, tanto più gustiamo la vera libertà.
  • Il quarto frutto, infine, è l’efficacia dell’azione naturale e soprannaturale. La contemplazione non solo rimuove gli ostacoli che corrompono l’azione (l’orgoglio, la volontà di potenza, la vanità, ecc.): essa ordina ogni azione umana al suo fine supremo, Dio, che è misura di tutte le cose; e così conferisce all’azione grande efficienza e capacità. Spesso i santi realizzano grandi cose. Santa Teresa d’Avila non diceva forse che «la contemplazione è la leva dell’azione»?

Quanto al prossimo:

  • La serva di Dio Elisabeth Lesueur diceva che «chi eleva se stesso, eleva il mondo»: quando un santo arcivescovo, delegato apostolico per l’Africa francofona, fondò una missione, vi stabilì anzitutto una comunità di vita contemplativa che, con la sua presenza, fu come il lievito di un nuovo cristianesimo.
  • Analogamente, don Gérard diceva che «i monasteri sono dita silenziose alzate verso il Cielo, il richiamo ostinato e intransigente che esiste un altro mondo oltre a quello presente, che ne è solo l’immagine che lo annuncia e lo prefigura».

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E ora mi rivolgo più direttamente a voi, ragazzi e ragazze:

Sì, ragazzi e ragazze che mi ascoltate, vorrei che, attraverso la mia voce, Dio parlasse al vostro cuore. Vi pongo una domanda: cosa volete fare del vostro futuro in vista dell’Eternità? Sapete come ascoltare la voce di Dio che parla nel profondo della vostra anima? E che risposta gli darete?

Il giovane ricco del Vangelo, gli Apostoli, tanti santi lungo tutta la vita della Chiesa e centinaia di migliaia di monaci e monache hanno sentito questo invito a seguire più da vicino Nostro Signore. Purtroppo, il giovane ricco si allontanò perché era attaccato ai suoi beni più che a Dio e la sua anima fu allora presa dalla tristezza, mentre gli Apostoli, dice il Vangelo, lasciarono prontamente tutto: Gesù disse loro: «Seguitemi». Subito, lasciate le loro reti, la loro barca e loro padre, lo seguirono. Alcuni sono chiamati all’apostolato, ma altri, come santa Maddalena, hanno scelto la parte migliore, perché, dice Dom Gérard, «Dio merita infinitamente che delle creature si donino, si consacrino interamente, per sempre ed esclusivamente, a guardare Lui, a lodarlo, ad adorarlo. È questa», ha aggiunto, «la norma…».

Ascoltate ora queste parole di san Benedetto nel prologo alla sua Regola: «Il Signore, cercando tra la folla il suo lavoratore, al quale lancia appelli, riprende: chi è l’uomo che vuole la Vita e desidera vedere giorni felici? Se, dopo aver ascoltato, rispondi: “Io”, Dio ti dice: vuoi avere la vera Vita, la Vita eterna? … Allora i miei occhi saranno fissi su di te, ascolterò le tue preghiere e, prima ancora che tu mi invochi, ti dirò: “Eccomi”. Cosa c’è di più dolce, fratello amato, di questa voce del Signore che ti invita? Vedi con quanta tenerezza il Signore ti indica la strada verso la Vita!».

Permettetemi infine di citarvi un pensiero di André Charlier, il fondatore della scuola di Roches, nel Périgord, di cui il reverendo padre Gérard Calvet fu allievo e discepolo. A quelli che aveva nominato “capitani”, cioè ai responsabili di un gruppo di studenti, disse queste parole quanto mai attuali: «Quella che si combatte è una formidabile battaglia spirituale ed è per questa che dovete armarvi. I cannoni, i carri armati, la bomba atomica, hanno assai poca importanza. Ciò che è importante è quanto accade nell’anima. Dentro di voi siete sollecitati in molti modi. Abbiate la volontà di rispondere sempre alla chiamata più alta».

Miei cari fratelli, che la grazia di questa Santa Quaresima in cui siamo entrati, forgi in noi anime contemplative che ci rendano non solo «adoratori di Dio» ma anche «salvatori di anime». E la Vergine Immacolata, modello di vita contemplativa e madre della Santa Speranza, ci conduca, al suo seguito, a vivere in mezzo alle vicissitudini di questo mondo con lo sguardo fisso là, dove sono le vere gioie del Cielo.

Così sia!